25 marzo 2005
Oggetto: PF/rm Parere pro veritate (ESL n.2646)
Parere pro veritate
Nel rapporto di lavoro a tempo pieno il potere di distribuire durante l'arco della giornata il tempo di lavoro è, in linea di principio, riservato al datore di lavoro; si ritiene infatti che il relativo potere rientri nelle prerogative d'impresa ed in particolare nel potere organizzativo e direttivo dell'imprenditore (artt. 2086 e 2094 c.c.) (in tal senso vedi ad es. Trib. Bergamo, 29 mar.
Le uniche restrizioni che si possono giustificare nell'esercizio di tale potere imprenditoriale stanno nell'obbligo di correttezza contrattuale nel senso che le eventuali modifiche dell'orario debbono essere comunicate con un congruo preavviso (in tal senso Pret. Pavia, 27 genn.
Da ultimo nemmeno il recente d.lgs. 08 apr. 2003, n.66 di attuazione delle direttive comunitarie 93/104 CE e 2000/34 CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, non contiene disposizioni in materia di dislocazione dell'orario di lavoro .
Se dunque, in linea di principio, possiamo ritenere che il datore di lavoro abbia ampia possibilità di mutare la dislocazione del tempo di lavoro nella giornata lavorativa diurna (che ai sensi dell'art. 1, 2° co., d.lgs n°66 del 2003, prevede un periodo di 17 ore di lavoro che escluda comunque le ore dalle 24.00 alle 5.00 ) tuttavia la contrattazione collettiva dei vari settori può dettare norme restrittive di tale potere imprenditoriale; ed è esattamente il caso del c.c.n.l. del settore interessato che, all'art. 89, stabilisce che "la distribuzione dell'orario di lavoro sarà concordata in sede aziendale sulla base di quanto previsto dall'art. 14……".
L'espressione "concordata" non può significare altro che eliminazione del potere di determinazione unilaterale dell'orario di lavoro da parte del datore di lavoro il quale non potrà quindi intervenire per modificare assetti orari precedentemente stabiliti se non previo "accordo" con i soggetti sindacali di cui all'art. 14.
I soggetti sindacali previsti dall' art. 14 sono poi costituiti dalle RSU "unitamente alle Organizzazioni sindacali firmatarie competenti per livello" .
Quanto sopra si è detto riguarda esattamente il caso "Unicoop"; tale realtà, prima dell'accordo del lug. 2001, prevedeva un orario di lavoro predisposto su due turni; con quell'accordo
Nel novembre del 2004
Questa decisione aziendale semplicemente "comunicata" alla RSU e non concordata (nemmeno dalle OO.SS. locali), è stata contestata e rifiutata nell'assemblea dei reparti coinvolti.
Appare dunque evidente che la decisione della Unicoop di cambiare l'orario di lavoro dei turnisti confermandolo nell'unico turno mattutino, è stata presa in violazione dell'art. 89 c.c.n.l. la quale prevede che "la distribuzione dell'orario di lavoro (quindi, anche i turni, n.d.r.) sarà concordata in sede aziendale …..."; di fronte ad un assetto dell'orario di lavoro distribuito su due turni, la concentrazione in unico turno costituisce mutamento della distribuzione dell'orario di lavoro" che non può essere unilateralmente adottata dal datore di lavoro se non previo "accordo" che nel caso di specie non c'è stato.
Quanto si è sopra osservato non è contraddetto da quanto risulta nell'accordo collettivo aziendale dove è prevista la materia "dell'orario di lavoro: durata e dinamiche"; tale previsione riguarda solo l'individuazione dei soggetti "interlocutori" e non l'effetto del relativo incontro che resta quello dell'art. 89 c.c.n.l. e cioè "l'accordo"; in altri termini il "confronto sindacale" di cui all'accordo aziendale, per avere effetti sulla modifica dell'orario di lavoro deve portare ad un "accordo" e non è sufficiente una mera informativa o consultazione.
Le conseguenze di tale stato di cose appaiono duplici:
- sul piano dei rapporti sindacali, le OO.SS. provinciali sarebbero legittimate ad attivare la procedura per la repressione delle condotte antisindacali prevista dall'art.
- sul piano dei rapporti individuali di lavoro la direttiva aziendale si traduce nella illegittimità del suo contenuto per inadempimento di una regola contrattuale; di fronte a tale illegittimo ordine i lavoratori potrebbero ricorrere al Giudice del Lavoro per far ristabilire la situazione anteriore
Ovviamente il ricorso al Giudice del lavoro dovrebbe essere preceduto dal tentativo di conciliazione previsto dagli artt. 410 e segg. Cpc, presso
A disposizione per ogni eventuale chiarimento, saluto cordialmente.
Prof. Avv. Paolo Fanfani
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